Bruno Buozzi

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BREVE BIOGRAFIA


Le origini

Bruno Buozzi nasce a Pontelagoscuro (Ferrara) il 31 gennaio 1881 da Maddalena Maria Busti e Orlando Buozzi.

Dopo le prime esperienze lavorative come apprendista nell’officina “F.lli Santini di Bondeno” e presso lo Zuccherificio Agricolo Ferrarese, dove viene licenziato in quanto socialista, si forma a Milano, ove si reca agli inizi del 1900 poco più che ventenne, trovando occupazione prima alla Marelli e successivamente alla Bianchi. Nel 1905, a ventiquattro anni, si iscrive alla Fiom (Federazione italiana operai metallurgici) nata nel 1901; sempre in quegli anni prende la tessera del Partito socialista, militando tra i riformisti ed avendo come punto di riferimento Filippo Turati.

Autodidatta, studia ottenendo con grandi sacrifici un titolo di formazione professionale tecnica, frequenta l’Umanitaria e successivamente diviene insegnante in una scuola di arti e mestieri nella stessa Società Umanitaria.

Buozzi si caratterizza subito per la visione riformista nell’azione sindacale a cui rimarrà fedele per tutta la vita, con una forte tensione morale ed una paziente e continua ricerca del consenso nello svolgimento degli incarichi via via ricoperti.

La scalata della Fiom

La Fiom, intanto, sta attraversando, nel biennio 1907-1908, un’acuta crisi che la vecchia dirigenza non è in grado di affrontare. Si fa strada l’ipotesi di un rinnovamento e da Torino e Milano si avanza la candidatura di Bruno Buozzi. Ha solo ventotto anni. Il 25 luglio del 1909 viene eletto segretario generale al IV Congresso Nazionale della Fiom, e trasferisce la sede da Milano a Torino.

È una scelta coraggiosa. Buozzi ridà l’orgoglio dell’appartenenza ai militanti della categoria esaltandone lo spirito di corpo e indicando con chiarezza la tabella di marcia di un sindacato riformista.

L’elezione in Parlamento

Intanto viene eletto per la prima volta parlamentare a Napoli e a Torino, ben distinguendo tra l’impegno sindacale e quello politico. L’occupazione delle fabbriche rappresenta il punto di svolta della situazione politica italiana. Il Partito socialista italiano non è in grado di dare uno sbocco politico alla crisi del paese, mette in minoranza Turati, non è capace di proporsi come forza di governo.

Si delinea la minaccia fascista. La crisi del partito è inarrestabile; a Livorno nel 1921 c’è la scissione. Nasce il PcdI (Partito comunista d’Italia). La Cgl (Confederazione generale del lavoro), su proposta di Bruno Buozzi, rinnova il patto di alleanza con il solo Psi.

Buozzi antifascista

La situazione politica e sociale diventa incandescente. Crescono le violenze e le intimidazioni. Il 28 ottobre 1922, dopo la marcia su Roma, Mussolini diventa Presidente del Consiglio. Non ha la maggioranza alla Camera, chiede i pieni poteri. Bruno Buozzi in Parlamento svolge un coraggioso e fermo intervento: “C’è una sola dittatura necessaria in Italia, onorevole Mussolini: la vostra sui fascisti, per indurli alla disciplina. E voi non dovete cercare di indorare questa dittatura come una pillola, con i pieni poteri che ci chiedete. Io sono fra quelli che credono, salvo complicazioni internazionali, al superamento relativamente sollecito dell’attuale crisi finanziaria e senza provvedimenti di eccezione. Desiderosi quindi che non si esagerasse né nel prospettare la nostra situazione né nell’enunciare miracoli. I bilanci non sono squadre di azione. Si tratta di materia nella quale non bastano le affermazioni e gli ordini”.

Ma non c’è nulla da fare. Gli iscritti sono ridotti al lumicino. Il regime riconosce l’esclusiva della contrattazione con le confederazioni degli industriali e degli agricoltori solo ai sindacati fascisti.

Aumentano ancora di più le violenze fasciste; c’è un vero e proprio accanimento contro la Fiom e la Cgl; le loro sedi sono devastate, soppresse, sciolte. Dilagano gli arresti e le condanne. Si preannunciano le leggi “fascistissime”, con l’istituzione della pena di morte, con la sospensione di tutti i partiti politici non fascisti, con l’istituzione di tribunali speciali.

L’esilio

Bruno Buozzi, che si trova a Zurigo, decide di non rientrare in Italia e si trasferisce a Parigi. Comincia così il suo lungo esilio.

Bruno Buozzi, rifugiatosi a Parigi, ricostruisce, d’accordo con la Fsi (Federazione sindacale internazionale) di Amsterdam, la Cgl in esilio con una intesa con la Cgt (Confederation general du travail) con il compito di assistere i lavoratori italiani emigrati in Francia ed in Belgio e dirige la rivista “L’Operaio Italiano”. Casa Buozzi a Boulevard Ornano diventa il punto di ritrovo degli esuli antifascisti. VI si possono incontrare Nenni e Modigliani, ci passa gli ultimi anni della sua vita anche Filippo Turati, spegnendovisi il 30 marzo del 1932.

Intanto, in Italia avviene il grande tradimento. Sette dirigenti della Cgl (Ludovico D’Aragona, Rinaldo Rigola, Lodovico Calda, Emilio Colombino, Giambattista Maglione, Ettore Reina, Carlo Azimonti), molto sensibili alle lusinghe e agli appelli di Mussolini, sciolgono il 14 gennaio 1927 il sindacato.

Il NO a Mussolini

Non mancano i tentativi e le lusinghe di Mussolini. In più di un’occasione Bruno Buozzi respinge gli inviti alla pacificazione che vengono dal fascismo. La risposta ai tentativi di pacificazione di Mussolini è contenuta in una lettera di Buozzi a Villani, un vecchio dirigente della Cgl:

“…io mi sentirei il più sgradevole degli italiani, se nella mia qualità di segretario della Confederazione, più ancora che di antifascista, discutessi ed ottenessi per me una libertà che non è concessa agli altri italiani. Io non ammetto, non ho nulla da chiedere. La nostalgia della patria tortura l’animo mio e quello di molti altri, ma il problema – ripeto – supera le persone… Non pensare che, dicendo ciò io creda alla apparente e vantata potenza del fascismo e alla sua perennità. Niente affatto. Lo considero sempre il regime fascista come un regime anacronistico per i nostri tempi. E penso che verrà forse un giorno in cui nessuno oserà assumere le sue difese. Esso almeno per me – è un castello costruito sulla sabbia, un colosso dai piedi d’argilla. Potrà resistere dei decenni, ma se non si trasformerà profondamente – e dubito che riesca a farlo – crollerà quando meno il mondo se l’aspetta.

L’ho già scritto ad altri, e lo ripeto anche a te. Esso è zarismo e secondo impero insieme. Il regime zarista sembrava il più solido del mondo e cadde ingloriosamente, come nessun regime cadde mai, senza lasciare alcun rimpianto. Il secondo impero cercò di conquistare l’animo dei francesi con una proluvie di leggi paternalistiche di ogni genere, con leggi eccezionali che vengono pedissequamente riprodotte dal regime fascista… eppure cadde anch’esso come un castello di carte, ed oggi non c’è un francese – anche antidemocratico e realista – che rimpianga Napoleone il piccolo… E per concludere, se si vuole sistemare il nostro paese, non c’è che una via: ridare agli italiani la libertà; consentire agli italiani, per diritto e non per graziosa concessione, di manifestare liberamente il loro pensiero”.

L’arresto e il confino

Bruno Buozzi, che si è rifugiato a Torus, rientrato clandestinamente a Parigi per far visita alla figlia Ornella in occasione della nascita della prima nipote, viene arrestato il 10 marzo 1941 dalla Gestapo. Viene portato al carcere della Santé dove incontra Giuseppe Di Vittorio, con cui ha un primo importante scambio di idee per il dopoguerra e per la ricostituzione del sindacato libero e democratico in Italia.

Viene trasferito in Germania, e dopo un lungo peregrinare ritorna – prigioniero – in Italia, a Ferrara il 17 agosto 1941 e confinato a Montefalco, un paese umbro tra Foligno e Assisi.

Commissario per la riorganizzazione dei sindacati

Il 25 luglio 1943 cade Mussolini. Richiamato a Roma dal governo Badoglio, nell’agosto 1943, gli viene affidato l’incarico di riorganizzare i sindacati. Nominato Commissario per lo scioglimento delle vecchie organizzazioni corporative, Buozzi chiede che ad affiancarlo vengano chiamati il cattolico Achille Grandi e il comunista Giuseppe Di Vittorio. Sollecita e ottiene anche la rapida liberazione di tutti gli antifascisti dalle carceri e dal confino. Conclude in breve tempo un accordo con la Confindustria per la rinascita delle Commissioni interne in tutte le fabbriche.

Ma il suo lavoro, che doveva portare alla rinascita del sindacalismo antifascista su base unitaria, viene interrotto dall’occupazione di Roma.

Buozzi, anche in quei terribili mesi, lavora intensamente per costruire l’unità sindacale.

La fine

All’improvviso l’arresto e il trasferimento della famigerata prigione di via Tasso a Roma. È il 13 aprile del 1944 e risulteranno tutti vani i tentativi di liberarlo.

Nella notte tra il 3 e il 4 giugno, mentre Roma viene liberata dalle forze alleate, Buozzi viene assassinato, a pochi chilometri da Roma (in località La Storta, sulla via Cassia), da un gruppo di nazisti in fuga.

Il “Patto di Roma” per l’unità sindacale, così ostinatamente voluto e “costruito” da Buozzi, nasce pochi giorni più tardi, anche se, in omaggio a Buozzi, porta la data del 3 giugno 1944.